Da padre a padre

 DA PADRE A PADRE







Non conosco il tuo nome, quello che so di te è racchiuso in un video postato in un social network. Ma quel video continua a percuotere il mio senso di colpa, la mia inettitudine.

Dicevi addio a tuo figlio. Lo rassicuravi, ripetevi parole di amore nel cantilenante suono della tua lingua a cui ho potuto dare un significato attraverso la traduzione algida e asettica che compare nei reel a cui dedichiamo, tutti, troppo tempo. 

Parlavi di amore, e lo facevi piangendo. 

Lo facevi tenendo fra le mani la testolina di tuo figlio, unica reliquia da custodire in un sudario sporco e imbrattato di sangue in cui altre parti di corpi si intravedevano. Ti rimaneva solo la sua testa  da tenere fra le mani nel momento più terribile che un padre può immaginare: il momento in cui si sopravvive al suo futuro. 

Non posso capire cosa tu abbia e stia provando. Non posso immaginare di saper vivere in una tenda,  per mesi sotto l’attacco continuo e feroce  di bombe e cecchini, nell’aria satura di polvere e morte. Non posso immaginare cosa significhi perdere la propria famiglia, la propria casa, il proprio futuro. E sopravvivere a tutto questo.  Quasi come se fosse un gioco del destino. Ma sai, io al destino non ci credo. Non credo alla grazia o alla punizione divina. Non credo alla favola dei popoli eletti e non credo che di fronte alla morte ci sia giustizia. 

Sono padre anch'io, e mi preoccupo ogni giorno di stare vicino ai miei figli. Li proteggo come posso, cerco di ascoltarli e di educarli al rispetto della vita e del mondo. Li spingo a farne parte, a prendere parte. Gli ho  parlato del tuo popolo  fin dalla loro tenera età. Mia figlia è nata nello stesso anno in cui sulla tua città si consumava l’operazione “Piombo Fuso”. Vita e Morte. 

Non li posso proteggere dal Mondo. 

Qui si lotta per non vederli frantumarsi emotivamente, per non vedere il deserto fare incetta delle loro emozioni. Per non vederli isolati a tal punto da rifiutare di essere vivi. I  ragazzi si buttano dalle finestre perchè non ce la fanno a sostenere il male che sentono dentro. 

Perché sono lasciati soli a fronteggiare l’appartenenza alla belva sanguinosa che è il nostro sistema di vita. 

E ho imparato sulla pelle che per quanto io possa fare, non sono in grado di proteggerli da questo.

Ti scrivo questo perchè non so rispondere al perchè ancora non siamo riusciti a fermare il genocidio che colpisce il vostro popolo. Perchè non ci vergogniamo di lasciare che un padre veda morire i suoi bambini senza poter fare nulla.  Perché  accettiamo che la tua gente venga affamata, uccisa, stuprata, privata di ogni cosa ed ogni luogo. Perché  accettiamo di pensare che i nostri problemi siano tanto importanti da dimenticare che quello che succede ad ogni uomo succede a tutti. 

Non lo so. 

Non ho più la capacità di guardare con lucidità il mio Mondo. 

Perché oggi, se lo guardo, appare come una farsa senza speranza di redenzione. 

Io so che significa perdere persone care. So quante lacrime ho versato e quanto dolore ho provato. So del tamburo nel petto che non mi lasciava dormire, e di quanto tutto mi sembrasse assurdo. Vedere la tua città rasa al suolo, mi fa pensare alla Belgrado che ho visto bombardata e distrutta. I vestiti con cui i bambini muoiono ogni giorno fra braccia di padri e madri inconsolabili, sono come i vestiti indossati dai nostri figli  nei filmini fatti da padri orgogliosi tra le mura sicure delle nostre case. 

L’acqua che bagna le vostre coste è l’acqua dello stesso nostro mare, l’olio ha il medesimo sapore e il pane la stessa  fragranza. 

Ed io piango la morte di tuo figlio, come fosse il mio. 

Non ho saputo essere abbastanza incisivo da evitare che il mio governo non fosse connivente con i lupi che sono i vostri oppressori. Molti non lo sono stati, e ci ritroviamo un Mondo feroce che mangia e sputa le carcasse dei vostri figli. Ma che fa lo stesso con i nostri, perché non siamo abbastanza ricchi, abbastanza belli e abbastanza stupidi da  aver rinunciato alla nostra umanità. Ed essere umani oggi è sofferenza e dolore. Quel dolore instancabile di chi sa che non ha fatto abbastanza, che sa che non importa cosa succederà domani. Oggi è e rimarrà sempre un giorno di morte e disperazione. 

I nostri ragazzi hanno paura di ogni alterità. Abbiamo una gioventù che sa essere crudele contro se stessa e contro gli altri. Le bombe che arrivano sulle nostre teste sono l’inadeguatezza, la paura di non farcela, di essere lasciati indietro. Di non essere abbastanza feroci e quindi soccombere. E noi padri e madri, non sappiamo come proteggerli. Troppo presi a vendere il nostro tempo per stare al passo. Per avere un posto nel Mondo che sacrifica la Tua gente per paura di perdere relazioni economiche con il vostro stupratore. Da questo Mondo io vorrei scendere. Ma sappiamo entrambi che il nostro ruolo è andare avanti. Cercare quanto possibile di non smettere di amare. 

Perché in tutta onestà, io amo tuo figlio come se fosse il mio. Amo i figli degli uomini. Tutti. E soffro per il tuo sangue, e per tutti quelli che non hanno un futuro. 

E come padre, non posso smettere di avere cura di loro.

Ma come in un mito antico, sembra che il cuore venga masticato ogni giorno per poi ricrescere la notte e ricominciare questa cannibale giostra. 

Da padre a padre. Non sei solo. Siamo oramai poche luci che cercano di risplendere in questa notte. Ma ci siamo. 

Non smetteremo di cercare la verità. Per rispetto a tuo figlio e al tuo lamento il giorno che ne hai salutato la morte, potendo avere solo la sua testa fra le mani.


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