COSA SIAMO
Domanda ricorrente che si scontra con la realtà attuale.
Artisti?
Quale ruolo ci assumiamo in questa epoca di drammi umani senza precedenti?
Si, perchè proprio per la condizione oggettiva di quello che viviamo, il dramma ha una dimensione sconosciuta al passato. Nei campi di concentramento l'orrore era in qualche modo "privato" e sono sicuro che si fosse pensato che renderlo pubblico avrebbe significato una condanna unilaterale e senza possibilità di aggirare la pena data da un limite superato e inaccettabile inequivocabilmente.
Oggi assistiamo in quello che Greta Thumberg ha definito "live streaming genocide" e il risultato è che le informazioni vengono fatte rimbalzare in una scatola di specchi che le deformano, mitigano, confondono.
Le leggi che ci siamo dati per combattere la possibilità che un orrore come questo potesse ripetersi, sono lì e gli uomini e le donne che hanno fede in queste leggi combattono per renderle reali, sotto l'attacco continuo di chi non vuole smettere di fare una cosa che questo sistema non accetterebbe mai: smettere di guadagnarci.
L'ultimo report a firma di Francesca Albanese non fa altro che mettere nero su bianco un'ovvietà.
Sulla morte dei Palestinesi c'è un mercato che non intende smettere di guadagnare.
L'italiana Leonardo guadagna sulla vendita e la sperimentazione di sistemi bellici, le industrie di Intelligenza Artificiale (la grande innovazione del secolo, no?) guadagnano costruendo sistemi di individuazione del nemico su basi concettuali che non prevedono sconti, anche se negli stessi "target" è prevista la presenza di bambini, donne, uomini innocenti.
Palestina.
Molti si nascondono dietro l'affermazione che non esiste solo questo conflitto, facendo finta di non rendersi conto quanto sia centrale per tutti noi.
Un conflitto militare in cui due milioni di persone vivono la propria terra come un lager dal 1948.
Un conflitto politico fra un movimento che si assume il diritto divino su quella terra cancellando millenni di storia e per un patto con un'altra potenza coloniale, e foraggiato dal senso di colpa e dalle responsabilità mondiali sul genocidio degli ebrei della seconda guerra mondiale.
Un conflitto etico fra cosa sappiamo fare e quello che è necessario fare.
La popolazione civile continua a chiedere la soluzione di questo massacro. Vogliamo che ai Palestinesi sia restituito il diritto di essere popolo, di avere una terra, di costruire il proprio futuro, ben consapevoli come una ferita come quella inferta da 80 anni di occupazione, tortura, distruzione, vera e propria pulizia etnica non si può rimarginare con un semplice cessate il fuoco. Quella stessa popolazione civile che elegge (per scelta, per disattenzione, per astensione consapevole) i governi che non riescono a dire basta a tutto questo.
Lacrime di coccodrillo, si direbbero. Ce la prendiamo con i social, mentre dovremmo rivendicare la loro libertà ed emancipazione dal sistema pubblicitario. Ce la prendiamo con l'AI, mentre basterebbe usarla per il bene, e avremmo a disposizione un potente mezzo per guadagnare tempo che non abbiamo. Ce la prendiamo con Israele, con l'Iran, con la Russia, con la Germania, con quell'orrore che sono gli Stati Uniti di Trump, ma dimentichiamo i decenni di asfittica presenza politica delle istanze del cambiamento.
Avevamo un prezzo fin troppo basso, questa è la verità.
E noi, gli artisti, cosa siamo? Giullari di corte di regnanti che neanche ci vedono? Voci silenziose che sopravvivono solo attraverso quel sistema che tanto demonizziamo?
Ad un musicista basta non farlo suonare, basta evitare che abbia un pubblico. E per farlo basta niente. Basta non rispondere ad una sua mail, basta non supportare la sua carriera, basta una mezza frase o un semplice alludere a qualcosa dai confini non nitidi per cancellarlo. Basta non parlare dei suoi lavori, non serve parlarne male, renderlo inesistente. E tutti siamo vittime di un sistema che annichilisce la curiosità la ricerca, il senso ultimo della sensibilità: trovare le voci che custodiscono il canto.
Il canto che ci rende così dannatamente simili alle madri morte a Gaza, il canto che ci rende solidali alle lotte di chi cerca una dignità sul lavoro, a quel canto che ci rende strumento di amplificazione dei drammi di questo contemporaneo che è complicato e che non riguarda solo noi. Ma di cui facciamo parte.
Mi ha sempre fatto sorridere l'ignoranza dei musicisti cosiddetti colti rispetto alle culture del Mondo. Come mi fa sorridere chi si rifugia nelle culture del Mondo pensando di poter acquisire strumenti che culturalmente necessitano non solo conoscenza, ma reale partecipazione.
Chiedere ad un musicista o ad un'artista oggi di essere contemporaneo riguarda una sfera di conflitti irrisolti che non può essere nascosta. L'amore convive con la brutalità, la cura con l'odio ignorante, la Natura con il suo disfacimento. L'umanità con il turbo capitalismo.
Accettiamo che un popolo venga cancellato sistematicamente, che vengano addirittura affittate sedie per vederne il massacro in prima fila. Affittiamo le case subito prima dell'occupazione violenta delle stesse (Air b&b in Cisgiordania), priviamo la terra degli alberi che l'hanno abitata per millenni. Uccidiamo i poeti per cancellare una lingua.
Ed è vero che ci sono altri conflitti. Uno per me è evidente anche solo dentro di me. Il conflitto fra ciò che è giusto e ciò che è facile, consueto. E la lotta comincia qui, quando si sceglie di non smettere di essere fedeli a ciò che si crede giusto.
Parlo, scrivo, suono il mio canto. Che è canto di cura del margine, quello che si pensa possa essere trascurato.
Non posso rispondere a COSA SIAMO. Ma posso lottare per rimanere QUELLO CHE SONO.
E sono un essere umano.
E non accetto una morte tanto SCONCIA, una politica tanto INUTILE, un'arte tanto SERVILE.
Apparteniamo al tutto.
E ne siamo custodi.
SVEGLIAMOCI.